Ricerca libera
21-02-2024
Genitore: un ruolo logorato
Nella mega atmosfera di sregolatezza imperante a livello morale, materiale e spirituale tutto, ma< proprio tutto, è stato messo in discussione per il gusto di separare, dissacrare e distruggere.
A causa di una incomprensibile mania generale di disordine caoticizzante e smania di potere, si osserva una totale assenza di capacità progettuale, assenza di propositi di risanamento e di recupero, ma soprattutto incapacità di stile e di amore gratuito.
Ovviamente detta caoticità non risparmia neanche i vari luoghi dello sport i quali per definizione dovrebbero essere vissuti come un’oasi di pace, specialmente dai giovani, all’insegna del divertimento e del rilassamento, dell’ opportunità di crescita e formazione personale, di socializzazione, ma anche occasione di cura del corpo e della mente.
Ad esempio nel mondo del tennis ad un osservatore minimamente attento che si pone dietro le quinte, o meglio dietro gli spalti, si presentano sempre più spesso spettacoli pietosi di genitori imbufaliti, poiché il proprio figlio/a non vince o si fa prendere dalla paura nella partita decisiva; che c’è di male ad avere un po’ di paura di fronte ad una prova ritenuta importante?.
Vorremmo chiedere a detti genitori, guardandoli dritti negli occhi, qual è il loro problema, qual è il grave danno personale che subiscono per creare quell’atmosfera da leoni inferociti che lede fortemente il giovane atleta se non addirittura lo blocca. Vorremmo anche chiedergli se ricordano quando giovanissimi anelavano quel sacro consenso e comprensione da parte dei genitori solo in quanto figli e non perché procacciatori di trofei, di gloria e di fama; i figli non sono schiavi prezzati dal padrone secondo le loro capacità, ma sono semplicemente la vita.
Difficilmente un giovane atleta pressato dall’idea di dover vincere, per non deludere o irritare il genitore, riesce a dare il meglio di se in partita; il giovane che si convince di valere solo per i risultati che da in campo non potrà mai sviluppare una solida immagine di se stesso contemporaneamente ad una buona autostima, ma sarà sempre una persona ansiosa ed insicura in preda all’ansia da prestazione, poiché ogni volta che si trova a dar prova delle proprie capacità deve lottare contro il rischio della svalutazione personale.
Educare un giovane (da: educere) vuol dire ” tirar fuori”, cosa? Le sue doti, le sue capacità, la sua energia affinché questa si canalizzi secondo i talenti personali; molti genitori sono invece propensi a “metter dentro” (devi,devi,devi …) usando i figli come fossero cloni personali attraverso i quali riscattare i propri sospesi nevrotici.
A causa di una incomprensibile mania generale di disordine caoticizzante e smania di potere, si osserva una totale assenza di capacità progettuale, assenza di propositi di risanamento e di recupero, ma soprattutto incapacità di stile e di amore gratuito.
Ovviamente detta caoticità non risparmia neanche i vari luoghi dello sport i quali per definizione dovrebbero essere vissuti come un’oasi di pace, specialmente dai giovani, all’insegna del divertimento e del rilassamento, dell’ opportunità di crescita e formazione personale, di socializzazione, ma anche occasione di cura del corpo e della mente.
Ad esempio nel mondo del tennis ad un osservatore minimamente attento che si pone dietro le quinte, o meglio dietro gli spalti, si presentano sempre più spesso spettacoli pietosi di genitori imbufaliti, poiché il proprio figlio/a non vince o si fa prendere dalla paura nella partita decisiva; che c’è di male ad avere un po’ di paura di fronte ad una prova ritenuta importante?.
Vorremmo chiedere a detti genitori, guardandoli dritti negli occhi, qual è il loro problema, qual è il grave danno personale che subiscono per creare quell’atmosfera da leoni inferociti che lede fortemente il giovane atleta se non addirittura lo blocca. Vorremmo anche chiedergli se ricordano quando giovanissimi anelavano quel sacro consenso e comprensione da parte dei genitori solo in quanto figli e non perché procacciatori di trofei, di gloria e di fama; i figli non sono schiavi prezzati dal padrone secondo le loro capacità, ma sono semplicemente la vita.
Difficilmente un giovane atleta pressato dall’idea di dover vincere, per non deludere o irritare il genitore, riesce a dare il meglio di se in partita; il giovane che si convince di valere solo per i risultati che da in campo non potrà mai sviluppare una solida immagine di se stesso contemporaneamente ad una buona autostima, ma sarà sempre una persona ansiosa ed insicura in preda all’ansia da prestazione, poiché ogni volta che si trova a dar prova delle proprie capacità deve lottare contro il rischio della svalutazione personale.
Educare un giovane (da: educere) vuol dire ” tirar fuori”, cosa? Le sue doti, le sue capacità, la sua energia affinché questa si canalizzi secondo i talenti personali; molti genitori sono invece propensi a “metter dentro” (devi,devi,devi …) usando i figli come fossero cloni personali attraverso i quali riscattare i propri sospesi nevrotici.